Platone – Il mito di Protagora

Il mito di Protagora, contenuto all’interno del Protagora di Platone, è un racconto nato in seguito ad un celebre dialogo tra Socrate e Protagora, che narra le origini della politica nella storia dell’essere umano.

Platone – Il mito di Protagora

PLATONE, Protagora, 320 c -323 a

Perciò, se hai modo di mostrarci con maggiore evidenza che la virtù [320c] è insegnabile, non rifiutarci questa dimostrazione».

«Ma io, o Socrate», disse, «non mi rifiuterò! Preferite, invece, che io, come anziano che si rivolge a gente giovane, ve lo dimostri raccontando un mito o analizzandolo col ragionamento?».

Molti dei presenti gli risposero che lo dimostrasse pure come voleva.

«Allora», diss’egli, «a me pare che sarebbe più gradito se io vi raccontassi un mito.

C’era un tempo in cui esistevano gli dèi, ma non esistevano [320d] le stirpi mortali. Quando poi anche per queste venne il tempo destinato per la loro creazione, furono dèi a foggiarle, nell’interno della terra, mescolando terra e fuoco e quelle sostanze che si fondono con fuoco e terra. E quando era destino che dovessero portarle alla luce, assegnarono a Prometeo e ad Epimeteo l’incarico di fornire e di distribuire facoltà a ciascuna razza come si conviene. Ma Epimeteo chiese a Prometeo di lasciar fare a lui la distribuzione: “Quando le avrò distribuite”, gli disse, “tu verrai a controllare”. E, dopo averlo così persuaso, mise mano alla distribuzione. Nel corso della distribuzione, ad alcune razze assegnò la forza senza la velocità, [320e] mentre fornì le razze più deboli di velocità. Certe razze le provvide di armi di difesa, per altre, invece, cui aveva conferito una natura inerme, escogitò qualche altra facoltà che assicurasse loro la salvezza. Infatti, quelle razze che rivestì di piccolezza, le provvide della capacità di fuggire con le ali, o di rifugiarsi in tane sotterranee; a quelle che invece fece crescere in grandezza, garantì la salvezza [321a] proprio con questo mezzo. E le altre facoltà le distribuì cercando di compensarle in questo modo. Ed escogitò questo avendo la cautela che nessuna specie potesse estinguersi. Dopo che le ebbe provviste di vie di scampo dalla distruzione reciproca, escogitò un efficace espediente perché si proteggessero contro le stagioni mandate da Zeus, vestendole di peli folti e di pelli spesse, adatte a proteggerle dal freddo e capaci di difenderle anche dalla calura, e tali che, quando si mettono a dormire, ciascuna specie trovi in esse le sue coltri personali e naturali. E [321b] alcune le calzò di zoccoli, altre invece le provvide di pelli spesse e senza sangue. In seguito, procacciò certi cibi per certe specie, altri per altre: ad alcune specie riservò le erbe della terra, ad altre i frutti degli alberi, ad altre le radici. E vi sono specie cui concesse di trovare il loro nutrimento predando altre specie animali. E fece in modo che le une fossero poco feconde, e che quelle destinate a esser preda di queste fossero invece molto prolifiche, al fine di assicurare la conservazione della specie. Se non che, non essendo un tipo molto accorto, Epimeteo non s’avvide [321c] di aver speso tutte le facoltà con gli animali: gli restava ancora sprovvista la razza umana, e non sapeva trovare una soluzione. Mentre si trovava impacciato in quest’inghippo, Prometeo viene a controllare il risultato della distribuzione, e vede che le altre specie animali erano ben provviste di tutto, mentre l’uomo era nudo, scalzo, scoperto e inerme. Ed era ormai vicino il giorno predestinato in cui bisognava che anche l’uomo uscisse dalla terra alla luce. Prometeo, allora, trovandosi in difficoltà circa il mezzo di conservazione che potesse trovare per l’uomo, [321d] ruba ad Efesto e ad Atena la loro sapienza tecnica insieme al fuoco, perché senza il fuoco era impossibile acquisirla o utilizzarla, e così ne fa dono all’uomo. Grazie ad essa l’uomo possedeva la sapienza necessaria a sopravvivere, ma gli mancava ancora la sapienza politica, perché questa era in mano a Zeus. Prometeo poi non aveva più accesso all’acropoli, dimora di Zeus; per di più, c’erano anche le terribili guardie di Zeus. Egli allora s’introduce furtivamente nell’officina che Atena ed Efesto avevano in comune, in cui essi [321e] lavoravano insieme, e, rubata l’arte del fuoco di Efesto e quell’altra arte che apparteneva ad Atena, la dona all’uomo: di qui vennero all’uomo i mezzi [322a] per vivere. Ma in seguito, come si racconta, Prometeo, per colpa di Epimeteo, venne punito per quel furto.

E, poiché l’uomo venne ad aver parte di un destino divino, innanzi tutto, per via di questa sua parentela col dio, solo fra gli animali credette negli dèi, e si mise a innalzare altari e statue di dèi. In seguito, con l’arte presto articolò voce e parole, inventò dimore, vesti, calzari, giacigli e scoprì i cibi che venivano dalla terra. Così provvisti, all’inizio [322b] gli uomini abitavano in insediamenti sparsi […] gli uomini abitavano in insediamenti sparsi, e non esistevano città. Perciò morivano uccisi dalle fiere, poiché erano sotto ogni rispetto più deboli di esse, e l’arte artigiana che essi possedevano bastava loro a procurarsi cibo, ma non era sufficiente alla guerra contro le fiere. Infatti, non possedevano ancora l’arte politica, di cui l’arte della guerra è parte. Cercavano quindi di unirsi e di salvarsi fondando città. Ma, una volta che si erano uniti, si facevano torti l’un l’altro, perché non possedevano l’arte politica, sicché, tornando a disperdersi, morivano.

[322c] Zeus, allora, temendo che la nostra specie si estinguesse, manda Ermes a portare agli uomini rispetto e giustizia, perché fossero regole ordinatrici di città e legami che uniscono in amicizia. Ermes chiede a Zeus in quale modo dovesse dare agli uomini giustizia e rispetto: “Devo distribuirli seguendo lo stesso criterio con cui si sono distribuite le arti? Perché quelle vennero distribuite in questo modo: uno solo che possieda l’arte medica basta per molti che di quell’arte sono profani, e così per gli altri specialisti. Ebbene, giustizia e rispetto [322d] devo distribuirli fra gli uomini con questo criterio, o devo distribuirne a tutti?” “A tutti”, disse Zeus, “che tutti ne diventino partecipi. Perché non potrebbero nascere città, se solo pochi di loro ne avessero parte, come accade per le altre arti. Istituisci, anzi, una legge per conto mio: chi è incapace di partecipare di rispetto e giustizia sia messo a morte come flagello della città”. Così stanno le cose, Socrate, e queste sono le ragioni per cui gli Ateniesi, e gli altri, quando si tratta della competenza nell’arte di costruire o di qualunque altra competenza artigiana, credono che solo a pochi spetti il diritto di partecipare alle decisioni, e se uno, [322e] che sia al di fuori di quei pochi, si mette a dare consigli, non lo tollerano, come tu dici: e con ragione, dico io. Quando invece si riuniscono in assemblea su questioni che hanno a che fare [323a] con la virtù politica, questioni che vanno trattate interamente con giustizia e temperanza, allora, giustamente, lasciano che chiunque dia il proprio parere, nella convinzione, appunto, che a tutti spetti di partecipare di questa virtù, o non esisterebbero città. Questa, Socrate, ne è la ragione.

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